Reggina: “Divide et impera”. Chi si accontenta di poco È egli stesso “POCO”!

Chiunque abbia pur solo semplicemente letto frammenti di storia relativi a guerre e/o battaglie sa che, spesso, fu utilizzata una tipologia di strategia cosiddetta “divisiva”. Questa era atta a dividere, per l’appunto, le truppe avversarie, spesso numerosamente più importanti nonché militarmente più attrezzate, affinché con il proprio esercito (evidentemente numericamente e militarmente inferiore) si potesse in qualche misura pareggiare (o quasi) le forze impegnate sul campo.

E vogliamo ricordare, ad imprimere maggior sostegno alla tesi di cui sopra, l’esaustiva locuzione latina “Divide et impera” secondo cui si può più efficacemente governare un popolo (o, nella fattispecie, una tifoseria) dividendolo in più parti, provocando rivalità e fomentando discordie al suo interno? Ecco, gli esempi mi sono utili per rendere esattamente l’immagine di cos’è oggi, ma anche in passato, la tifoseria reggina (intesa nella sua totalità, ultras e tifosi “comuni”): divisa! E non solo è divisa ma anche litigiosa, verbalmente belligerante, astiosa ed oltremodo rancorosa. Sarebbe interessante chiedersi, però, il perché esiste ed è evidente questa netta spaccatura.

Intanto dovremmo partire dall’individuazione di quale sia l’identità di quei soggetti, “numericamente e militarmente inferiori”, che per controbattere le “truppe” avversarie (“numericamente e militarmente” ad essi assai superiori) sono avvezzi a creare e fomentare divisioni anche innanzi ad un bene comune com’è la Reggina per i reggini, tifosi e non, partecipanti e disinteressati.

Non è necessario fare nomi e cognomi, o loro qualifiche o loro millantati titoli. Crediamo sia sufficiente provare a delineare, pur non avendo gli studi idonei, i profili: furbi, ma non intelligenti; sicuramente frustrati e provati dalle esperienze professionali vissute; fors’anche già sconfitti e, per questo, alla ricerca di fantomatiche rivincite; magari anche tristi perché, nonostante assidui frequentatori del jet set, fondamentalmente apatici; certamente benestanti ma anche con la consapevolezza di esser “cercati” per quel che si ha e non già per quel che si è! Insomma una sorta di “belli senz’anima”, avari con sé stessi di sentimenti ed emozioni ma finanche scatole desolatamente vuote che girovagano e sopravvivono fondando la propria notorietà su di un’effimera apparenza della serie “l’abito non fa il monaco” ma “sono un bel contenitore anche senza contenuti”.

Dall’altra parte chi c’è? C’è una tifoseria, ma più in generale una città, che negli ultimi 15 anni circa è stata offesa, umiliata, mortificata, bullizzata, stuprata, derisa, illusa, presa a pedate arrivando ad essere quasi definitivamente disillusa e, quindi, stanca ed arrendevole innanzi a chi millanta le migliori intenzioni seppur seguite da cinismo, cattiveria vera e propria, spregiudicatezza e perfino sadismo manifestato in spregio a qualsiasi forma di rispetto per gli altri (etica e morale neppure a parlarne, per i personaggi in questione sono solo due semplici parole tra le migliaia descritte sul vocabolario).

Una tifoseria, quella reggina, che, per lo più, agisce d’istinto. Un istinto anch’esso ormai ridotto al lumicino le cui residue forze hanno lasciato il posto alla resa incondizionata. Persone che hanno rinunciato a pensare con la propria testa, o forse non l’hanno mai fatto, che preferiscono demandare ad altri il trascinarli verso lidi apparentemente sicuri e tranquilli. Comparse, insomma, raramente o forse mai protagonisti delle proprie scelte. Una stretta di mano con sorriso ammiccante incluso, un’ospitata a cena, una maglia da sfoggiare o un accredito fatto direttamente dalla Società (con annesso ingresso nei locali antistanti gli spogliatoi) ed il gioco è fatto! Chi si accontenta di poco È egli stesso POCO!

Fino a qualche tempo addietro, simili “guerre” erano appannaggio di chi era mosso da sterili motivi di audience non disdegnando coup de théâtre tragicomici. Trash? No, per carità, la definizione più corretta sarebbe “spazzatura” ma, si sa, ognuno offre di sè stesso ciò che meglio ha da mostrare e quindi…

Al giorno d’oggi, ma anche in un passato che sembra si stia rivivendo, le “guerre” servono alle proprietà. Immaginiamo lo squillo dei messaggi whatsapp all’arrivo del “mattinale”: “Oggi si colpisce Tizio”, “Caio ha detto questo, è necessario attaccarlo”, “Sempronio ha pubblicato un post, da accerchiare e neutralizzare”. Da un capo dello smartphone dirigenti a vario titolo, dall’altro insignificante gente comune che questi hanno eretto a novelli capipopolo con la evidente capacità di influenzare le cimici ma, dal canto proprio, autodichiaratisi influencer con migliaia di followers. Ed è così che gente senza arte né parte, fondamentalmente non acculturata, si traveste e parla da DG o da DS, di preparazione atletica o persino da allievo di Ancelotti.

Il vario e variegato mondo del calcio, si sa, è fatto di cicli. Cicli che spesso si ripetono ma mai con la stessa forza delle versioni precedenti. Ed è così che la “grande guerra del ‘15/’18” può provare a riproporsi ma né le persone né i mezzi di difesa utilizzati sono gli stessi di allora. Ed ecco che, seppur il volgo è purtroppo sempre lì in attesa di prebende con le braccia protese, il ceto appena superiore ha sviluppato l’antidoto per arginare e respingere lo stucchevole tentativo di ripercorrere strade già percorse seminando odio e rancore che, allora, trovarono terreno fertile in menti deboli e debosciate. Che poi, a ben pensarci, i successi dell’epoca furono effimeri s’è vero com’è vero che avvenne un’implosione deflagrante che lasciò al suolo stracci e mappine.

Ed allora, se da un lato c’è chi suole far spallucce e, sospirando, si accontenta privandosi del godimento dall’altro c’è chi, numericamente e dignitosamente assai più forte, pretende coltivare la propria ambizione frutto dell’orgoglio che non arretra dinnanzi a niente e nessuno. C’è chi, come detto, accetta passivamente qualunque cosa uomini mediocri gli propinino e chi, con pazienza e resilienza, rifiuta la mediocrità circostante man-tenendo la testa ben al di fuori della melma che lo circonda. E’ “solo” una questione legata al carattere, alla predisposizione innata o indotta di pronarsi o meno, allo spessore personale prima e culturale poi di ciascuno di noi. E non c’è niente da fare: o li hai in dote o è inutile cercare di acquisirli. Non ci si riuscirà mai!

Cosa attendersi, quindi? Beh, sarebbe auspicabile una presa di coscienza delle truppe “caramellate” ed il conseguente loro ammutinamento ma, in verità, non ambiamo a cotanta roba. Ed allora? Ed allora che continuino, generalini e soldatini, proseguendo una “guerra” che, è solo questione di tempo (nemmeno poi così tanto lontano), cesserà con un finale già visto: sconfitta ammessa e resa senza onore delle armi per i perdenti.

E la tifoseria? Tutta, organizzata e non, ultras e non, dovrebbe finalmente avere la forza di rinunciare alle prebende distribuite ed unirsi e compattarsi in nome e per conto dell’“entità” Reggina. Un’entità fatta di passione e calore, di fede ed amore, che dovrebbe riunire tutti coloro i quali hanno a cuore le sue sorti e, con esse, quelle di uno dei simboli migliori della nostra Reggio. La Reggina è un’icona, la Reggina è gioia e lacrime, la Reggina è cultura, LA REGGINA E’ NOSTRA!